se la paura ti spingesse a provare qualcosa di nuovo?

Praticando attività sportiva acrobatica, ed insegnandola, mi sta capitando spesso di sentire l’espressione

“HO PAURA”

Ammetto che delle volte lo penso anche io, anche se forse adesso meno rispetto a tempo fa. Vi è mai capitato però di pensare che la paura stessa, elaborata in certo modo, possa farvi agire e muovere il corpo in una maniera diversa, nuova?

Io non ci avevo mai pensato. Eppure l’altro giorno sono incappata in un articolo di Stephen John Saville risalente al 2008 (1) e leggendo l’abstract (e mi sono fermata praticamente lì, perché ero di corsa e ho visto che erano 25 meravigliose fittissime pagine di articolo…) mi è partita una riflessione: l’autore osserva come tutta una serie di paure possano essere viste in maniera positiva, poiché costringono chi pratica sport (e nel suo caso si parla di parkour) ad interagire con l’ambiente circostante in maniera giocosa e differente, non scontata.

Non solo il movimento nello spazio non viene bloccato, ma subisce una trasformazione vera e propria, evolve in qualcosa di diverso. Se avete visto alcuni video dei nostri insegnanti di parkour, provate ad immedesimarvi in loro mentre si approcciano ad un ostacolo.

(1) Stephen John Saville (2008) Playing with fear: parkour and the mobility of emotion, Social & Cultural Geography, 9:8, 891-914, DOI: 10.1080/14649360802441440

Una persona qualsiasi, camminando per strada, vedendo un muretto, lo aggirerebbe. Loro invece, gli corrono incontro: lì, quel muretto, ha un ruolo diverso. Ha il ruolo di una occasione, una sfida: corrergli incontro significa trovare per forza un movimento alternativo, per non schiantarsi contro di esso, non trovate?

Nello stesso articolo ad un certo punto si osserva come la paura abbia poi una pessima reputazione, è ritenuta il “cattivo supremo” (“the ultimate villain”), e qualcosa che deve essere sormontato. Inoltre, la paura è un segnale che ci fa concentrare su un potenziale pericolo: tuttavia l’autore osserva come, praticando parkour, egli stesso sia passato da osservare con paura i movimenti dei compagni, ad avere egli stesso paura fino a modificare la forma stessa della paura, che gli ha permesso di restare presente a sé stesso nello spazio. Non è affascinante come trasformazione?

In seguito questa è stata la mia personale riflessione sul ruolo della paura nel parkour, non avendo io terminato le 25 pagine (ma voi se avete modo dovreste proprio leggerle): nell’unica lezione che ho fatto di parkour come allieva, Chiron mi ha detto che dovevo essere pronta, durante un front flip, a eventualmente, cambiarlo sul momento e mettere giù le mani, in caso mi fossi accorta che qualcosa in quel salto non andava: la cosa mi ha confusa, nonostante sia perfettamente razionale.

Modificare quel tipo di movimento mentre lo sto facendo? Nella mia testa penso “impossibile” … Allo stesso tempo mi ha affascinata che lui, e tutti gli altri, fossero capaci di operare un simile cambiamento durante il movimento stesso.

Seville poi nomina un episodio in cui David Belle, considerato padre fondatore del parkour, fece un inaspettato scivolone davanti a molto persone, ad altrettanto inaspettatamente ne fu esaltato, considerando la situazione molto reale e più interessante di quando va tutto come previsto.

Mi chiedo ora davvero se quella paura che senti sul momento, possa davvero farti scoprire delle strade nuove, cui non avevi pensato. Poi mi chiedo anche se chi pratica da tanto tempo continui a sentirla… penso che sia una domanda valida per i nostri insegnanti volanti.

Può la paura di non schiantarsi contro un muretto farti scoprire di essere capace

di fare salti che non credevi saresti mai riuscito a fare?

EM – Mixirica 

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